TESTI LATINI DI "FLORIDA" - videoincontri del venerdì

FLORIDA 1 – LA GINESTRA

PETRONIO – Satyricon 37-38

Uxor Trimalchionis Fortunata appellatur, quae nummos modio metitur. Et modo modo quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus, noluisses de manu illius panem accipere. Nunc, nec quid nec quare, in caelum abiit et Trimalchionis topanta est. Ad summam, mero meridie si dixerit illi tenebras esse, credet. Ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet omnia, et ubi non putes. Est sicca, sobria, bonorum consiliorum: tantum auri vides. Est tamen malae linguae, pica pulvinaris. Quem amat, amat; quem non amat, non amat. Ipse Trimalchio fundos habet, quantum milvi volant, nummorum nummos. Argentum in ostiarii illius cella plus iacet, quam quisquam in fortunis habet. Familia vero - babae babae! - non mehercules puto decumam partem esse quae dominum suum noverit. Ad summam, quemvis ex istis babaecalis in rutae folium coniciet.

Nec est quod putes illum quicquam emere. Omnia domi nascuntur: lana, credrae, piper: lacte gallinaceum si quaesieris, invenies. Ad summam, parum illi bona lana nascebatur; arietes a Tarento emit, et eos culavit in gregem. Mel Atticum ut domi nasceretur, apes ab Athenis iussit afferri; obiter et vernaculae quae sunt, meliusculae a Graeculis fient. Ecce intra hos dies scripsit, ut illi ex India semen boletorum mitteretur. Nam mulam quidem nullam habet, quae non ex onagro nata sit. Vides tot culcitras: nulla non aut conchyliatum aut coccineum tomentum habet. Tanta est animi beatitudo! Reliquos autem collibertos eius cave contemnas. Valde sucossi sunt. Vides illum qui in imo imus recumbit: hodie sua octingenta possidet. De nihilo crevit. Modo solebat collo suo ligna portare. Sed quomodo dicunt - ego nihil scio, sed audivi - quom Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum invenit. Ego nemini invideo, si quid deus dedit. Est tamen sub alapa et non vult sibi male.

 

FLORIDA 2 – IL GIGLIO

Livio, Ab Urbe condita I, 57

L'episodio della virtuosa Lucrezia

Negli accampamenti militari, come accade in una guerra che sia più lunga che difficile, c’erano con una certa frequenza delle licenze, tuttavia più per gli ufficiali che per i soldati semplici; i giovani reali, per esempio, talvolta passavano fra loro il tempo in banchetti e gozzoviglie. Mentre una volta essi stavano bevendo presso la tenda di Sesto Tarquinio, dove banchettava anche Tito Collatino, figlio di Egerio, si venne a parlare delle mogli; ciascuno lodava la propria in modo ammirevole. Dunque, accesasi una disputa, Collatino afferma che non servono le parole: in poche ore avrebbero potuto sapere quanto la sua Lucrezia fosse superiore a tutte le altre.

   “Perché, se abbiamo il vigore della giovinezza, non montiamo a cavallo e osserviamo di persona l’indole delle nostre mogli? Per ciascuno la prova più sicura sarà ciò che si presenti alla vista all’arrivo non atteso dai mariti”.

   Si erano riscaldati col vino. “Su, dunque!” dicono tutti. A briglie sciolte corrono verso Roma. Dopo esservi arrivati mentre veniva notte, si dirigono da lì a Collazia, dove trovano Lucrezia, proprio per nulla come le spose dei figli del re, che avevano visto perdere tempo con le loro coetanee in lussuosi banchetti, ma occupata a filare la lana, benché fosse notte inoltrata, seduta nel cuore della casa fra le ancelle che lavoravano a lume di candela. La vittoria di quella gara femminile toccò a Lucrezia. Il marito ed i Tarquini al loro arrivo furono accolti con benevolenza. Il marito vincitore invita con affabilità i figli del re.

Ibi Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit; cum forma tum spectata castitas incitat.

Dopo aver lasciato passare alcuni giorni, Sesto Tarquinio all’insaputa di Collatino venne a Collazia con un compagno. E lì, accolto amichevolmente dagli abitanti ignari del suo proposito, dopo essere stato accompagnato, dopo la cena, in una camera per gli ospiti, preso dalla passione, dopo che tutto nei dintorni sembrava abbastanza tranquillo e tutti gli uomini addormentati, …

… stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit sinistraque manu mulieris pectore oppresso «Tace, Lucretia» inquit «Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem».  Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum. Ubi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum servum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut vi victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset, Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam eundem ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant; ita facto maturatoque opus esse; rem atrocem incidisse.

Spurio Lucrezio venne con Publio Valerio, figlio di Volesio, Collatino con Lucio Giunio Bruto, assieme al quale era stato per caso incontrato dal messaggero della moglie mentre ritornava a Roma. Trovano Lucrezia seduta nella camera da letto, infelice. All’arrivo dei suoi cari sgorgarono lacrime e disse al marito che le chiedeva: ”Stai bene?” “Per nulla! Cosa c’è di buono per una donna che abbia perso l’onore? Sul tuo letto, Collatino, ci sono le tracce di un estraneo; del resto solo il corpo è stato violato, l’animo è innocente; la morte sarà testimone. Ma date le destre e prestate giuramento che l’adultero non resterà impunito. E’ Sesto Tarquinio, che la notte scorsa, armato, con la forza, nemico invece che ospite, ha ottenuto un piacere per me – ed anche per lui, se siete veri uomini – mortale.”

Dant ordine omnes fidem; consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse. «Vos» inquit «videritis quid illi debeatur: ego me etsi peccato absolvo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet».  Cultrum, quem sub veste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in volnus moribunda cecidit.  Conclamat vir paterque.

 

Le divinità del mos maiorum

CONCORDIA   =  ὁμόνοια

FIDES =  πίστις

HONOS = τιμή

MENS (bona / mala)  =   νοῦς

PIETAS =   εὐσέβεια

PUDICITIA =  αἰδώς

SALUS =   ὑγίεια

VICTORIA =   νίκη

VIRTUS =   ἀρετή

 

FLORIDA 3

La CALLA e l'EROS

 

Amabo, mea dulcis Ipsitilla,                                           CATULLO

meae deliciae, mei lepores,                                              Liber  carme 32 

iube ad te veniam meridiatum.

Et si iusseris, illud adiuvato,

ne quis liminis obseret tabellam,

neu tibi lubeat foras abire,

sed domi maneas paresque nobis

novem continuas fututiones.

Verum si quid ages, statim iubeto:

nam pransus iaceo et satur supinus

pertundo tunicamque palliumque.

 

Παρακαλώ, γλυκιά μου Ιψιτίλλα,

κορίτσι μου, τσαχπίνα μου,

κανόνισε να σου 'ρθω το μεσημεράκι.

Κι αν κανονίσεις, θα με υποχρέωνες,

άμα κανείς το σύρτη στην εξώπορτα δε βάλει

κι άμα δε σου 'ρθει έξω να βγεις,

αλλά σπίτι να μείνεις και να μου είσαι έτοιμη

για εννιά απανωτά γαμήσια.

Σοβαρά τώρα, αν είσαι μέσα, κανόνισε αμέσως·

βλέπεις μόλις απόφαγα κι ανάσκελα χορτάτος

φουστάνια και φορέματα τρυπώ πέρα για πέρα.

 

FLORIDA 4

L'ORCHIDEA NERA e l'AMBIZIONE: Cesare in Lucano

 

LUCANO, Pharsalia VII

Discorso di Cesare alle truppe prima della battaglia di Farsàlo (48 a.C.)

"O domitor mundi, rerum fortuna mearum,

miles, adest totiens optatae copia pugnae.

«Miei soldati! Voi siete trionfatori sul mondo e artefici dei miei successi. Ora è arrivato il momento della battaglia tante volte bramata.

Nil opus est votis, iam fatum accersite ferro.

In manibus vestris quantus sit Caesar habetis.

Non servono preghiere: è con la vostra spada che forgiate il destino. Avete nelle vostre mani la grandezza di Cesare.

Questo è il giorno – ricordo bene – che mi è stato promesso lungo le rive del Rubicone: con questa fiducia ci siamo spinti avanti in armi, con questa fiducia abbiamo rimandato la celebrazione dei trionfi che ci sono stati negati; e questa fiducia testimonierà chi sia stato a fare la guerra giusta: lo scontro di oggi farà del vinto il colpevole.

Si pro me patriam ferro flammisque petistis,

nunc pugnate truces gladiosque exsolvite culpa:

nulla manus belli mutato iudice purast.

Per me voi avete assalito la patria col ferro e col fuoco: ora combattete feroci e assolvete da ogni colpa le spade: nessuna mano è innocente della guerra, dalla prospettiva dell'altro.

Non mihi res agitur, sed vos ut libera sitis

turba precor, gentis ut ius habeatis in omnes.

Non si tratta del mio vantaggio, ma prego che voi siate una gente libera, che abbiate il potere su tutti i popoli.

Io per me non chiedo di meglio che ritirarmi a vita privata e ridurmi a semplice cittadino con indosso una toga plebea, purché a voi tutto sia permesso. Nulla rifiuto di essere: anche impopolare, basta che voi abbiate il dominio. Non a prezzo di molto sangue potete ottenere il regno del mondo: avrete di fronte il fior fiore della gioventù… dei ginnasi greci, capace solo di frequentare le palestre e a stento di maneggiare le armi, o una turba confusa di barbari dalle lingue diverse, che al muoversi dell'esercito non sopporteranno neanche il suono delle trombe e il loro stesso clamore.

Civilia paucae

bella manus facient, pugnae pars magna levabit

his orbem populis Romanumque obteret hostem.

Poche braccia faranno la guerra civile, mentre gran parte della battaglia libererà il mondo da questi popoli e schiaccerà il nemico di Roma.

Ite per ignavas gentes famosaque regna

et primo ferri motu prosternite mundum,

sitque palam, quas tot duxit Pompeius in Urbem

curribus, unius gentes non esse triumphi.

Passate tra genti imbelli e re infami, e con il primo colpo di spada abbattete il mondo! E sia chiaro: tutte le orde che Pompeo ha condotto a Roma su tanti carri non sono degne di un solo trionfo».

Cesare, quando vide che era bastante il bagno di sangue occidentale nel quale galleggiavano i campi, decise che doveva dar riposo alle spade e alle braccia dei suoi: condonò la vita alle persone di basso valore e ai reparti che sarebbero caduti invano ....

… Non servivano grandi esortazioni per spingere la truppa al saccheggio: «La vittoria è per noi totale, uomini: in cambio del sangue versato rimane una ricompensa che tocca a me mostrare: non chiamerò "regalo" quello che ognuno prenderà per sé».

Segue la scena del volgare e violento saccheggio.

La notte dopo la strage, il sonno dei soldati di Cesare è popolato di incubi e di visioni. Anche Cesare è ossessionato da visioni infernali.

Quella notte lo incalzano tutte le spade, sia quelle viste a Farsàlo sia quelle che il giorno della vendetta avrebbe visto in pugno ai senatori. Mostri infernali lo sferzano. Ahi quanto dolore dà al disgraziato la sua cattiva coscienza! Ancora vivo Pompeo, vede davanti ai suoi occhi lo Stige, gli spiriti dei morti e il Tartaro!

Exigit a meritis tristes victoria poenas,

sibilaque et flammas infert sopor.

La vittoria pretende dai colpevoli amari castighi, il sonno porta sibili e fiamme.

Ingemuisse putem campos, terramque nocentem

inspirasse animas, infectumque aëra totum

manibus et superam Stygia formidine noctem.

Io crederei che le pianure abbiano mandato gemiti, che la terra colpevole abbia esalato delle anime; tutta l'aria era infestata da spettri e la notte celeste dai terrori infernali.

Tamen omnia passo,

postquam clara dies Pharsalica damna retexit,

nulla loci facies revocat feralibus arvis

haerentes oculos.

Tuttavia, tutto sopportato, quando la luce del giorno mostrò la carneficina di Farsàlo, nessun panorama gli fa staccare gli occhi dai campi di morte su cui li tiene fissi.

Vede fiumi gonfi di sangue, mucchi di cadaveri alti come colline prossimi a decomporsi, e conta i popoli di Pompeo "il Grande". E si fa apparecchiare tavola in quel luogo da cui meglio può riconoscere i volti e le espressioni dei morti. Gli fa piacere di non riuscire a scorgere il suolo della Tessaglia e di percorrere con lo sguardo le pianure nascoste sotto la strage. E per non perdere, esaltato, la lieta vista dei delitti, nega a quegli infelici il fuoco del rogo e al cielo colpevole infligge la vista della Tessaglia.

Descrizione dello scempio compiuto sui cadaveri dagli uccelli rapaci e dalle bestie selvatiche.

Spesso sul viso di Cesare vincitore e sulle sue empie insegne colò dall'alto del cielo sangue o putredine e gli uccelli lasciarono cadere pezzi di carne dagli artigli ormai stanchi.

Latiae pars maxima turbae

fastidita iacet, quam sol nimbique diesque

longior Emathiis resolutam miscuit arvis.

La maggior parte della turba latina giace reietta: il sole, le piogge, lo scorrere del tempo l'hanno sciolta mescolandola alla terra dei campi della Tessaglia.

 

FLORIDA 5 - La ritrosia

ORAZIO, Odi I, 23

 

Vitas inuleo me similis, Chloe,

quaerenti pavidam montibus aviis

     matrem non sine vano

     aurarum et silvae metu.

Nam seu mobilibus veris inhorruit               5

adventus foliis, seu virides rubum

     dimovere lacertae,

     et corde et genibus tremit.

Atqui non ego te, tigris ut aspera

Gaetulusve leo, frangere persequor :               10

     tandem desine matrem

     tempestiva sequi viro.

 

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FLORIDA 6 - Il Frangipane e  La rinascita

Incontro dedicato all'Africa

Ambrogio di Milano - INNO AL CANTO DEL GALLO (386 d.C.)

 

Aeterne rerum conditor,                          

noctem diemque qui regis,                      

et temporum das tempora,                     

ut alleves fastidium,

 

praeco diei iam sonat,

noctis profundae pervigil,

nocturna lux viantibus

a nocte noctem segregans.

 

Hoc excitatus lucifer

solvit polum caligine:

hoc omnis erronum chorus

vias nocendi deserit.

 

Hoc nauta vires colligit

pontique mitescunt freta,

hoc ipsa Petra Ecclesiae

canente culpam diluit.

 

Surgamus ergo strenue!

Gallus iacentes excitat,

et somnolentos increpat,

Gallus negantes arguit.

 

Gallo canente spes redit,

aegris salus refunditur,

mucro latronis conditur,

lapsis fides revertitur.

 

Iesu, labantes respice,

et nos videndo corrige,

si respicis, lapsus cadunt,

fletuque culpa solvitur.

 

Tu lux refulge sensibus,

mentisque somnum discute,

te nostra vox primum sonet

et vota solvamus tibi.

 

Deo Patri sit gloria,

eiusque soli Filio,

cum Spiritu Paraclito,

in sempiterna saecula. Amen.

 

 

Eterno creatore del mondo,
che regoli la notte e il giorno,
e disponi il succedersi dei tempi,
per alleviare la noia,

già si leva il canto del messaggero del giorno,
che veglia nella notte profonda,
luce notturna ai viandanti,
che separa la notte dalla notte.

Da lui destata, la stella del mattino
sgombra il cielo dall'oscurità;
al suo segnale, tutta la schiera dei vagabondi
abbandona le vie del male.

Al suo canto, il navigante raccoglie le forze
e si placano i flutti del mare;
al suo canto, la stessa roccia della Chiesa
lava nel pianto la sua colpa.

Orsù dunque! Alziamoci in fretta,
il gallo sveglia chi dorme
e rimprovera i pigri,
il gallo accusa coloro che rinnegano la fede.

Al canto del gallo ritorna la speranza,
i malati riacquistano la salute,
il brigante rinfodera la spada,
la fede ritorna a chi ha rinnegato.

O Gesù, se vacilliamo guardaci,
e correggici col tuo sguardo;
se tu ci guardi, cessano i nostri falli
e la colpa è lavata nel pianto.

Tu luce rifulgi ai nostri sensi,
dissipa il torpore del nostro spirito.
A te per primo si rivolga la nostra voce,
e a te si sciolga il nostro canto.

https://www.youtube.com/watch?v=upGstqwLJ4M   : canto gregoriano da Burgos

 

FLORIDA 7 - Il corbezzolo

OVIDIO Fasti VI 101-130

IL MITO DELLA NINFA CARNA / DEA CARDEA

 

Prima dies tibi, Carna, datur. Dea cardinis haec est:

numine clausa aperit, claudit aperta suo.

Unde datas habeat vires, obscurior aevo

fama; sed e nostro carmine certus eris.

Il primo giorno è dato a te, Carna. È la dea del cardine: con la sua potenza apre ciò che è chiuso, chiude ciò che è aperto. Da dove tragga le forze che le sono state date, il tempo ha oscurato la tradizione; ma lo saprai dalla mia poesia. 

Vicino al Tevere si stende l'antico bosco di Alerno: anche adesso i Pontefici portano là le offerte sacre. Da lì nacque una ninfa (gli antichi la chiamarono Cranae) invano spesso desiderata da molti pretendenti. Era solita percorrere le campagne e dare la caccia alle bestie selvatiche con i giavellotti e tendere nodose reti nel fondo della valle; non aveva una faretra, tuttavia credevano che fosse sorella di Apollo e tu, Apollo, non avresti avuto di che vergognartene.

 

Primus, Iane, tibi sacratur ut omnia mensis undique cui semper cuncta videre licet.

Il primo mese è dedicato a te, Giano, che hai la capacità di vedere le cose da ogni punto di vista.

Η πρωτομενιά σου αφιερώνεται, θεέ Ιανέ, γιατί μπορείς να δεις τα πράγματα από οποιαδήποτε οπτική γωνία (παρελθόν και παρόν, έξω και έσω, μπροστά και πίσω…).

Huic aliquis iuvenum dixisset amantia verba,

reddebat tales protinus illa sonos:

"Haec loca lucis habent nimis, et cum luce pudoris:

si secreta magis ducis in antra, sequor."

Credulus ante ut iit, frutices haec nacta resistit,

et latet et nullo est invenienda modo.

Viderat hanc Ianus, visaeque cupidine captus

ad duram verbis mollibus usus erat.

Nympha iubet quaeri de more remotius antrum,

utque comes sequitur, destituitque ducem.        Η νύμφη κρύβεται…

Stulta! videt Ianus quae post sua terga gerantur:    αλλά Ιανός βλέπει και πίσω…

nil agis, et latebras respicit ille tuas.                           … και τη βρίσκει

Nil agis, en! dixit: nam te sub rupe latentem

occupat amplexu, speque potitus ait                     Ιανός γαμεί τη νύμφη…

"Ius pro concubitu nostro tibi cardinis esto:  θα τη ανταμείψει με ένα δώρο…

hoc pretium positae virginitatis habe."      Η νύμφη θα γίνεται θεά των μεντεσέδων..

Sic fatus spinam, qua tristes pellere posset    και με το κλαδί του δέντρου  φράουλας  ή του γαιδουράγκαθου

a foribus noxas (haec erat alba) dedit.   Θα εκδιώκει τις στρίγκλες από τα σπίτια

Se a lei qualcuno dei giovani avesse rivolto parole d'amore, subito lei rispondeva tali sussurri: "Questi posti hanno troppa luce e con la luce ho troppa vergogna: se mi porti in grotte più appartate, ti seguo". E come quello, illuso, va avanti, lei raggiunti dei cespugli si ferma lì, sta nascosta e non la si può trovare in nessun modo. Una volta l'aveva vista Giano e al vederla preso dalla voglia si era rivolto alla scontrosa con dolci parole. La ninfa al suo solito lo esorta a cercarsi un antro più nascosto, lo segue come compagna ma poi pianta in asso la guida. Ingenua! Giano vede quel che accade alle sue spalle: tutto inutile, lui scorge il tuo nascondiglio. "Tutto inutile, su!" disse lui. Infatti ti possiede mentre eri nascosta sotto una rupe e soddisfatto il suo desiderio dice: "In cambio del nostro accoppiamento tu avrai potere sul cardine: abbi questa ricompensa per la perduta verginità". Dopo aver così parlato, le diede una spina bianca con cui potesse scacciare dalle porte i funesti malanni.

 

FLORIDA 8 - Il papavero e il sonno.

 

ALCMANE (VII a.C.)

Notturno (34 ed. Page)

 Eὕδουσι δ' ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες

 

πρώονές τε καὶ χαράδραι

 

φῦλά τ' ἑρπέτ' ὅσα τρέφει μέλαινα γαῖα

 

θῆρές τ' ὀρεσκώιοι καὶ γένος μελισσᾶν

 

καὶ κνώδαλ' ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός·

 

εὕδουσι δ' οἰωνῶν φῦλα τανυπτερύγων …                

 

… Sono addormentati i picchi e i dirupi delle montagne

e i promontori e i burroni

e, specie per specie, tutti gli animali che nutre la nera terra,

e le bestie sdraiate sui monti e la famiglia delle api

e i pesci voraci negli abissi del cupo mare;

e sono addormentate le generazioni degli uccelli dalle lunghe ali ...

 

Virgilio, ENEIDE IV vv. 522-532 – Il canto di Didone

 

"Nox erat et placidum carpebant fessa soporem

corpora per terras silvaeque et saeva quierant

aequora, cum medio volvontur sidera lapsu,

cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,

quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis

rura tenent, somno positae sub nocte silenti.

At non infelix animi Phoenissa neque umquam

solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem

accipit: ingeminant curae rursusque resurgens

saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu "

 

Era notte e i corpi stanchi raccoglievano per le terre il placido sonno e le selve e le acque furiose erano tranquille, quando le stelle si volgono alla metà del loro giro, quando tace ogni campo, le bestie e gli uccelli variopinti, sia quelli che abitano per largo tratto i limpidi laghi, sia quelli delle campagne ispide di cespugli, posati nel sonno sotto la notte silenziosa.

Ma la Fenicia infelice nell'animo non si libera mai nel sonno e non accoglie la notte negli occhi o nel petto: raddoppiano gli affanni, e l'amore, insorgendo di nuovo, infuria e fluttua in un grande ribollimento di ire.

 

 

 

APOLLONIO RODIO (III a.C.)

Argonautiche III

 

Νὺξ μὲν ἔπειτ' ἐπὶ γαῖαν ἄγεν κνέφας, οἱ δ' ἐνὶ πόντῳ

ναυτίλοι εἰς Ἑλίκην τε καὶ ἀστέρας Ὠρίωνος

ἔδρακον ἐκ νηῶν, ὕπνοιο δὲ καί τις ὁδίτης

ἤδη καὶ πυλαωρὸς ἐέλδετο, καί τινα παίδων

μητέρα τεθνεώτων ἀδινὸν περὶ κῶμ' ἐκάλυπτεν,

οὐδὲ κυνῶν ὑλακὴ ἔτ' ἀνὰ πτόλιν, οὐ θρόος ἦεν

ἠχήεις, σιγὴ δὲ μελαινομένην ἔχεν ὄρφνην·

ἀλλὰ μάλ' οὐ Μήδειαν ἐπὶ γλυκερὸς λάβεν ὕπνος.

 

Intanto la notte avvolgeva di tenebre la terra: sul mare, dalle loro navi, i marinai guardavano l’Orsa e le stelle di Orione; il viandante e il guardiano erano ormai bramosi di sonno; anche la madre che aveva perduto i suoi figli era immersa in un profondo sopore; non un latrato di cani, non il più lieve rumore si udiva per la città; il silenzio dominava le tenebre notturne. Ma Medea non fu vinta dal dolce sonno. 

 

 

SAFFO (?)  (fr. 58 Page)

δέδυκε μὲν ἁ σελάνα

καὶ Πληϊάδες, μέσαι δὲ

νύκτες, παρὰ δ' ἔρχεθ' ὥρα·

ἐγὼ δὲ μόνα καθεύδω.

 

È tramontata la luna, e le Pleiadi, e a mezzo è la notte, e l'ora trascorre: e io dormo sola.

 

GIACOMO LEOPARDI

La sera del dì di festa (1820)

 

Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. O donna mia,

già tace ogni sentiero, e pei balconi

rara traluce la notturna lampa:

tu dormi, che t’accolse agevol sonno

nelle tue chete stanze; e non ti morde

cura nessuna; e già non sai né pensi

quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.

Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno

appare in vista, a salutar m’affaccio,

e l’antica natura onnipossente,

che mi fece all’affanno. A te la speme

nego, mi disse, anche la speme; e d’altro

non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. …

 

FLORIDA 9: Le piante carnivore (Dionaea muscipula) e la voracità.

Virgilio,  Eneide III

Frattanto il vento e il sole ci lasciano stanchi, e ignari della rotta arriviamo alle spiagge dei Ciclopi.

Portus ab accessu ventorum immotus et ingens               570
ipse: sed horrificis iuxta tonat Aetna ruinis,
interdumque atram prorumpit ad aethera nubem
turbine fumantem piceo et candente favilla,
attollitque globos flammarum et sidera lambit;
interdum scopulos avulsaque viscera montis               575
erigit eructans, liquefactaque saxa sub auras
cum gemitu glomerat fundoque exaestuat imo.

 

Il porto, al riparo dei venti, è immoto e vasto; ma accanto l'Etna tuona di orrende rovine, e talvolta vomita nel cielo una nera nube, fumante d'un turbine di pece e di ardenti faville, e solleva globi di fiamme e lambisce le stelle, talvolta scaglia eruttando rocce e divelte viscere del monte, e agglomera con un mugghio nell'aria pietre liquefatte, e ribolle dall'infimo fondo.

 

https://www.unionesarda.it/video/video/cronaca-italia/2021/01/20/etna-eruzione-nella-notte-le-immagini-52-1106234.html    VIDEO ETNA


Visceribus miserorum et sanguine vescitur atro.
Vidi egomet duo de numero cum corpora nostro
prensa manu magnā medio resupinus in antro
frangeret ad saxum, sanieque aspersa natarent               625
limina; vidi atro cum membra fluentia tabo
manderet et tepidi tremerent sub dentibus artus— …

 

 

Vix ea fatus erat, summo cum monte videmus

ipsum inter pecudes vasta se mole moventem

pastorem Polyphemum et litora nota petentem,

monstrum horrendum, informe, ingens, cui lumen ademptum.

mònstruor-rènduin-fòrmein-gèns // cuilùmena-dèmptum

Trunca manu pinus regit et vestigia firmat;

lanigerae comitantur oves—ea sola voluptas

solamenque mali.

Postquam altos tetigit fluctus et ad aequora venit,

luminis effossi fluidum lavit inde cruorem,

dentibus infrendens gemitu, graditurque per aequor

iam medium, necdum fluctus latera ardua tinxit.

Nos procul inde fugam trepidi celerare, recepto

supplice sic merito, tacitique incidere funem;

vertimus et proni certantibus aequora remis.

Sensit, et ad sonitum vocis vestigia torsit;

verum ubi nulla datur dextra adfectare potestas,

nec potis Ionios fluctus aequare sequendo,

clamorem immensum tollit, quo pontus et omnes

contremuere undae, penitusque exterrita tellus

Italiae, curvisque immugiit Aetna cavernis.

FLORIDA 10: Al fiore ignoto --- Al dio ignoto

Omero, Odissea X, 302-306

“E quando ormai, movendo per i sacri valloni, di Circe ricca di farmaci stavo per giungere al grande palazzo, allora mi venne incontro Ermete verga d’oro, mentre arrivavo alla casa, simile a un giovane eroe, cui fiorisce la prima peluria, bellissima è la sua giovinezza. Mi prese per mano e parlava parola, diceva: “Dove, o infelice, per questi colli vai da solo, ignaro del luogo? I tuoi compagni in casa di Circe son chiusi, come maiali, abitando solide stalle. E tu per liberarli qui vieni? Io ti dico che neanche tu tornerai, ma resterai là con gli altri. Suvvia, dai pericoli voglio liberarti e salvarti. Tieni, con quest’erba benefica in casa di Circe entra; il suo potere t’eviterà il mal giorno. Ti dirò anche tutti gli inganni funesti di Circe. Farà il miscuglio e metterà del veleno nel vaso; ma non così potrà farti l’incantesimo, non lo permette l’erba benefica che sto per darti, e tutto ti spiego”.

 

Ὡς ἄρα φωνήσας πόρε φάρμακον Ἀργεϊφόντης

ἐκ γαίης ἐρύσας καί μοι φύσιν αὐτοῦ ἔδειξε.

Ῥίζῃ μὲν μέλαν ἔσκε, γάλακτι δὲ εἴκελον ἄνθος·

μῶλυ δέ μιν καλέουσι θεοί, χαλεπὸν δέ τ' ὀρύσσειν

ἀνδράσι γε θνητοῖσι· θεοὶ δέ τε πάντα δύνανται.

Così avendo parlato, mi diede la pianta medica Hermes,
da terra strappandola, e la natura me ne mostrò.
Di radice era nera, ma il fiore simile al latte;
moly la chiamano gli dèi ed è difficile strapparla
per gli uomini mortali; ma gli dèi tutto possono.

 

 

ANTOLOGIA PALATINA XV 12

Leone il Filosofo (IX sec. d.C.)

Λέων ο Φιλόσοφος

Παλατινή Ανθολογία (βιβλίο 15ο, Σύμμικτα επιγράμματα)

 

Ἔρρε μοι, ὦ Κίρκης δνοφερὸν σπέος· αἰδέομαι γὰρ

οὐράνιος γεγαὼς βαλάνους ἅτε θηρίον ἔσθειν·

μισῶ Λωτοφάγων γλυκερὴν λιπόπατριν ἐδωδήν,

Σειρήνων τε μέλος καταγωγὸν ἀναίνομαι ἐχθρῶν·

ἀλλὰ λαβεῖν θεόθεν ψυχοσσόον εὔχομαι ἄνθος,

μῶλυ, κακῶν δοξῶν ἀλκτήριον· ὦτα δὲ κηρῷ

ἀσφαλέως κλείσας προφυγεῖν γενετήσιον ὁρμήν.

ταῦτα λέγων τε γράφων τε πέρας βιότοιο κιχείην.

 

Va' al diavolo, oscura caverna di Circe! Mi vergogno,

io che sono figlio del Cielo, a mangiare ghiande come una bestia;

odio il dolce cibo dei Lotofagi che fa dimenticare la patria,

e rifiuto il canto seducente delle odiose Sirene:

ma prego di ricevere da Dio il fiore di moly

che salva l'anima, salvezza dai cattivi pensieri; e, chiuse

prudentemente con cera le orecchie,

di fuggire l'impulso del sesso.

 

S. PAOLO – Discorso dell'Areòpago agli Ateniesi

                      Atti degli Apostoli 17

                     VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=lZd8jD2cgcA

Στην Αθήνα

Ad Atene

 

Ενώ ο Παύλος τους περίμενε στην Αθήνα, αναστατωνόταν μέσα του που έβλεπε την πόλη να είναι γεμάτη είδωλα.

Paolo, mentre li attendeva ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli.

Συζητούσε, λοιπόν, γι’ αυτό στη συναγωγή με τους Ιουδαίους και τους προσήλυτους, και στην αγορά κάθε μέρα μ’ όσους συναντούσε.

Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. 

Μερικοί από τους επικούρειους και τους στωϊκούς φιλοσόφους συζητούσαν μαζί του, και κάποιοι έλεγαν: «Τι να θέλει άραγε να μας πει τούτος ο παραμυθάς;»

Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: «Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?».

Άλλοι έλεγαν: «Φαίνεται πως κηρύττει τίποτα ξένους θεούς».

Αυτό το ’λεγαν, γιατί ο Παύλος κήρυττε σ’ αυτούς τον Ιησού και την ανάσταση.

E altri: «Sembra essere uno che annuncia divinità straniere». Dicevano così poiché annunciava Gesù e la risurrezione.

Τον πήραν, λοιπόν, και τον έφεραν στον Άρειο Πάγο.

Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago e dissero:

«Μπορούμε να μάθουμε», του έλεγαν, «ποια είναι η καινούρια αυτή διδασκαλία που κηρύττεις; Φέρνεις στ’ αυτιά μας παράξενα πράγματα. Θέλουμε λοιπόν να μάθουμε σαν τι μπορεί να είναι αυτά».

«Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu annunci? Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; desideriamo perciò sapere di che cosa si tratta». 

Γιατί, όλοι οι Αθηναίοι και οι ξένοι που έμεναν στην Αθήνα για τίποτε άλλο δεν είχαν καιρό, παρά για να λένε ή ν’ ακούνε κάτι το καινούριο.

Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità.

Στάθηκε, λοιπόν, ο Παύλος στη μέση του Αρείου Πάγου και είπε:

Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse:

 «Αθηναίοι! Σας βλέπω ευλαβέστατους από κάθε άποψη.

«Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. 

Πράγματι, ενώ περιδιάβαζα την πόλη σας και έβλεπα τους ιερούς σας τόπους, βρήκα ανάμεσα σ’ αυτούς κι ένα βωμό, με την επιγραφή: “Στον Άγνωστο Θεό”.

Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”.

Αυτόν, λοιπόν, που εσείς λατρεύετε χωρίς να τον γνωρίζετε, αυτόν εγώ τώρα σας τον κάνω γνωστό.

Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio.

Είναι ο Θεός που δημιούργησε τον κόσμο κι όλα όσα υπάρχουν σ’ αυτόν.

 Ως Κύριος του ουρανού και της γης, δεν κατοικεί σε χειροποίητους ναούς, ούτε υπηρετείται από χέρια ανθρώπινα σαν να ’χε ανάγκη από κάτι, αφού αυτός είναι που δίνει σε όλα ζωή και πνοή και τα πάντα.

Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 

Δημιούργησε από έναν άνθρωπο όλα τα έθνη των ανθρώπων και τους εγκατέστησε πάνω σ’ όλη τη γη, και όρισε πόσον καιρό θα υπάρχουν και μέσα σε ποια σύνορα θα κατοικούν.

Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio.

Θέλησε να ζητούν τον Κύριο και να προσπαθούν να τον βρουν ψηλαφώντας στο σκοτάδι, αν και δεν είναι μακριά από τον καθένα μας. 28Γιατί μέσα σ’ αυτόν ζούμε και κινούμαστε και υπάρχουμε, όπως λένε και μερικοί απ’ τους δικούς σας ποιητές:

“Δική του είμαστε γενιά”.

Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”.

 

 

 

 

Testo

RECENSIONE DI DON R. SPATARO (Un. Salesiana di Roma) a "PER LE NOSTRE RADICI" di A. Del Ponte

DEL PONTE Andrea

Per le nostre radici. Carta d’identità del latino. Aracne editore (Roma) 2018, 174 p.

ISBN 978-88-255-1759-0

 

   Tutti i latinisti e i pedagogisti a cui sta a cuore una formazione integrale delle giovani generazioni non potranno che salutare con compiacimento il saggio che presentiamo del prof. Andrea Del Ponte, esperto docente di latino e greco nei licei da circa 40 anni, pubblicista apprezzato e vice-presidente della benemerita sodalitas di dotti “Centrum Latinitatis Europae”.

   Il titolo chiarisce subito la prospettiva assunta dall’autore per ribadire con vigore l’importanza degli studi umanistici e delle lingue classiche, specialmente del latino: essi consentono un’esplorazione critica della documentazione letteraria, giuntaci in lingua latina, di quella civiltà antica in cui si collocano le radici dell’identità e della cultura europea. Affermare il contrario, come pure alcuni classicisti italiani ben noti sostengono, proponendo di eliminare il concetto stesso di “radici culturali”, equivale a smarrirsi nei meandri di un deludente relativismo morale che dissolve ogni certezza e sfocia in un’antropologia debole, preda di ideologie tanto pericolose quanto arroganti. Il prof. Del Ponte lo sottolinea nelle pagine conclusive dei suoi “epilegomena” (pp.98-105), ove si succedono osservazioni acute e convincenti.

   Il saggio è articolato in tre parti, aperte dalla prefazione di una firma prestigiosa, quella di Salvatore Settis, e dall’introduzione in cui l’autore illustra la genesi del suo lavoro, nato proprio “sul campo” dell’insegnamento e della militanza culturale. Nella prima parte, intitolata “Radici storiche e attualità della Latinitas”, si traccia una rapida storia della lingua latina, mostrandone l’ininterrotta vitalità testimoniata da molteplici fenomeni. Tra di essi mi limito a segnalare l’adozione di motti latini da parte di moltissime Università in tutto il mondo. Il che mostra, come dichiara l’autore, che «il latino è stato ed è tuttora avvertito come lingua universale dell’alta cultura; il latino è stato considerato come lingua sacra più adatta a veicolare concetti di altissima spiritualità e cultura» (p. 37).

   Nei cosiddetti “prolegomena” della seconda parte, “Il dibattito sull’utilità del latino”, sono riportati sedici brani, che spaziano dall’autobiografia postuma di Monaldo Leopardi (1883) ad un articolo di Vito Mancuso, apparso sulla “Repubblica” del 12.01.2018: una vera e propria “sinfonia” di voci in difesa dello studio e dell’uso della lingua latina sulla base di vari argomenti. Ne scelgo uno proposto da Giorgio Israel, storico della matematica e della scienza: «Lo studio delle nostre lingue morte [personalmente preferisco immortali] è fondamentale per il nostro essere. Dirò di più: ti cambiano l’animo. Basterebbe solo questo per azzittire chi ti dice: “A che serve studiare il latino e il greco?”. Non serve a nulla: è solo importante» (p. 59).

   A questa prima sezione della seconda parte, segue la seconda, gli “epilegomena”, ove l’autore, sulla base dell’argomentazione addotta dai precedenti studiosi, offre ulteriori elementi di riflessione, denuncia un’impostazione meramente economicistica e tecnicistica dell’istruzione e dell’educazione, ribadisce il valore altamente formativo dell’esercizio della traduzione, contesta l’approccio minimalista e relativista del mondo antico greco-romano e delle lingue in cui esso si è espresso. Le parole di Del Ponte che chiudono questa seconda parte meritano di essere riferite: «I classicisti europei […] non sono disposti a subire passivamente gli attacchi distruttivi di orientamenti culturali quanto meno discutibili, che vorrebbero, in nome di teorie eversive di una millenaria sapienza, non tanto forse estromettere dall’Italia e dall’Europa il patrimonio della classicità, quanto piuttosto sfigurare e sconciare ciò che di meglio essa ha saputo esprimere, da Omero al Rinascimento, in termini di λόγος, di spiritualità e di un’autentica humanitas capace di indicare le coordinate per un vivere bello, armonioso, altamente civile» (p. 105). Oggi, come ieri e come domani, la posta in gioco della difesa e della promozione del latino è la causa di un autentico e integrale umanesimo.

   Nella terza parte l’autore propone 24 testi in lingua latina, accompagnati dalla sua traduzione in lingua italiana, su altrettante tematiche, disposte come in un acrostico alfabetico dalla A alla Z. Ecco alcune di queste “schegge di latinità”: I come inquinamento, con un brano della Laudato si’ di Papa Francesco; M come mondialismo, con un brano di Ugo di San Vittore (sec. XIII); Q come quantistica, con un brano di Tito Lucrezio Caro (I sec. a. C.). In tal modo si dimostra che la lingua latina, grazie alle sue peculiarità, si è sempre rivelata idonea ad esprimere pensieri nobili ed elevati di natura filosofica e osservazioni scientifiche variegate e puntuali.

    Raccomandiamo, dunque, la lettura di questo volumetto che si inserisce più che dignitosamente in un ampio dibattito, sollevato in Italia da alcuni anni e al quale partecipano voci autorevoli, sull’importanza dello studio delle lingue e delle civiltà classiche e sulla necessità di evitare riforme scolastiche avventurose e devastanti. Proprio l’agile densità del libretto del prof. Del Ponte ha talvolta impedito di dare maggiore respiro a qualche argomento. Ad esempio, la controversia sull’adozione del metodo-natura avrebbe meritato tanto qualche riflessione ulteriore sulle sue apprezzabili caratteristiche quanto sulle obiezioni avanzate contro di esso, più numerose di quella riportata. (pp. 30-31). Inoltre, laddove si parla del felice incontro e dell’indissolubile unione tra il latino e la Chiesa cattolica Romana avremmo atteso la menzione dell’esistenza di un Istituto di Alta latinità fondato dal papa san Paolo VI nel 1964 e tuttora operante con vivacità. Al di là di questi rilievi di minore entità, la “Carta d’identità del Latino” che ci è stata offerta dal vice-presidente del Centrum Latinitatis Europae è un valido documento per sostenere con argomenti solidi e persuasivi il significato culturale e morale dello studio delle humanae litterae che, con le parole di Eugenio Garin citato a p. 83, «sono il mezzo per dilatare la nostra personalità oltre la puntualità di una situazione per metterla in rapporto con le esperienze esemplari della storia degli uomini».

 

 

                                                                                              Roberto Spataro

                                                                              Pontificium Institutum Altioris Latinitatis

                                                                                                      Roma

Pubbl. su Salesianum – Periodicum internationale trimestre editum a professoribus Pontificiae Studiorum Universitatis Salesianae – Romae.  Annus LXXXI (2019) Iulius-September.

MATERIALI STUDIO ESTIVO GRECO

"Grecia mia bella": un video con parole di Matteo Antonio Maria Rossi e traduzione in greco antico di Daniela Leuzzi.

MENU DELLA CENA ROMANA ANTICA

Festival della cultura classica: a cena con gli antichi

Venerdì 23 novembre 2018 ore 19.45
Saloni dell’Ist. Alberghiero “Bergese”
Via Giotto 10
Cena romana antica

MENU

Aperitivo – Antipasti - Gustationes - promulsis 
Moretum - Formaggio alle erbe 
Barbabietole alla senape
Crostini con garum 
Uova sode con salsa di pinoli
Epityrum (pasta di olive su formaggio sardo fresco) 
Libum su foglie di alloro 
Pesce azzurro in carpione  

Mulsum (vino bianco fermo con miele di castagno) 
e una proposta analcolica alla frutta (pesca-albicocca) 

Mensa prima
Pane e focaccia di farro e di grano 
Acqua - Vinum atrum  
Patina apiciana 
Perna (prosciutto in crosta di pane) 
con contorno di lampascioni, fagiolini, misticanza 
Frittata con erbette
Mensa secunda
Frutta fresca mista 
Cassata oplontina 
La “danza dei Coribanti” (yogurt con chicchi di melograno e miele) 

La quota di partecipazione è di 30€. 
Le prenotazioni vanno comunicate al prof. Del Ponte (septimius@alice.it / cell. 392-7095857) oppure alla prof.ssa Leuzzi (dleuzzi@iol.it cell. 3470352419).

Lezione magistrale di Massimo Cacciari

Gramsci e il latino

«Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue,  per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale.  La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità».

A.Gramsci, Quaderni dal carcere. Quaderno 4 [XIII], voce 55

L' ENCICLICA " LAUDATO SI' ": IL TESTO LATINO

Magistri praeclari,

Scriptores Latini qui in Latinum reddunt sermonem Romani Pontificis Acta maioris momenti, usi tantum situ interretiali, in vulgum ediderunt versionem Latinam Litterae Encyclicae c.t. Laudato si' 

http://w2.vatican.va/content/francesco/la/encyclicals/documents

/papafrancesco_20150524_enciclica-laudato-si.html  

Quod fecerunt, ut mihi retulerunt, ut quidam viri peritissimi, cum textum pervolvissent, consilia eis darent ad reddendam politiorem elegantioremque versionem Latinam. Quo facto, Litteram typis exscribendam curabunt.

Valete

Brani di versione per la scuola tradotti

L’incipit della Lettera a Meneceo di Epicuro


1. OCCORRE DEDICARSI ALLA FILOSOFIA A TUTTE LE ETA’

Non aspetti il giovane a filosofare, né il vecchio si stanchi di filosofare: nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora giunta l’età di filosofare o che è già trascorsa, è come se dicesse che non è ancora o non è più l’età per essere felici. Cosicché devono filosofare sia il giovane, sia il vecchio: questo perché invecchiando rimanga giovane nei beni, per il ricordo gradito del passato; quello perché sia insieme giovane e vecchio, per l’assenza di timore di fronte al futuro: bisogna dunque esercitare ciò che procura la felicità, perché se abbiamo questa abbiamo tutto, ma se manca, facciamo di tutto per averla.


2. FELICE E’ CHI HA UNA CORRETTA OPINIONE DEGLI DÈI

I precetti che ti ho continuamente raccomandato mettili in pratica ed esercitali, ritenendoli il principio fondamentale di una vita felice. Per prima cosa considera la divinità un essere immortale e beato, come la comune nozione del divino suggerisce, e non attribuire a essa nulla che sia estraneo all’immortalità o diverso dalla beatitudine: anzi, pensa riguardo a essa tutto ciò che possa conservarne la beatitudine congiunta all’immortalità. Gli dèi esistono: perché la loro conoscenza è evidente; ma non esistono nel modo in cui i più li concepiscono, perché non conservano la nozione che ne hanno. Empio non è chi non riconosce gli déi del volgo, ma chi agli dèi applica le opinioni del volgo.

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I testi del "Caffè Apocalisse"

                                                         -11 dicembre 2012  -

1. Il Signore, Dio degli eserciti, colpisce la terra ed essa vacilla e sono in lutto tutti i suoi abitanti; essa si solleva tutta come il Nilo, e si abbassa come il Nilo d’Egitto. Egli costruisce nei cieli il suo palazzo e fonda la sua volta sulla terra: Egli chiama a raccolta le acque del mare e le riversa sulla terra. Signore è il suo nome.
                                                       (Antico Testamento, Amos 9, 5-6)

1. Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.                    (Vangelo di Matteo 24, 29)

2. Il tempo s’è fatto breve: d’ora innanzi quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! 
                                                   (S.Paolo, Prima lettera ai Corinzi 7, 29-31)

3. "Nel corso dei periodi fatali l'universo intero va in fiamme e quindi si inizia una nuova costituzione del mondo. Tutto termina con un fuoco primordiale, che come un seme (sperma) ha in sé tutte le ragione e tutte le cause degli essere che furono, che sono e che saranno. La formazione dalla conflagrazione generale della materia si compie quando dal fuoco, attraverso l'aria, avverrà una conversione in acqua, e una parte di questa si depositerà a formare la terra".             (Zenone stoico, IV sec. a.C.)

4. Lucrezio De rerum natura II, 1144-45 : Sic igitur magni quoque circum moenia mundi / expugnata dabunt labem putrisque ruinas. =  Così dunque anche le mura che circondano il vasto universo crolleranno, espugnate, lasciando macerie e rovine.  

5. Sallustio Bellum Iugurthinum II:  Postremo corporis et fortunae bonorum ut initium sic finis est, omniaque orta occidunt et aucta senescunt.  = Insomma i beni del corpo e della fortuna come hanno un principio così hanno una fine, tutto ciò che è nato muore, tutto quel che è cresciuto invecchia.

6. Seneca Naturales Quaestiones III 27 e ss.:
    Così avverrà il kataklysmòs: “…si coalizzeranno tutti i mezzi di distruzione e insieme cadranno le piogge, si rigonfieranno i fiumi, i mari attratti fuori dalle loro sedi abituali ci assaliranno e tutti gli elementi si abbatteranno in schiera compatta per annientare il genere umano. E’ proprio così: niente è difficile per la natura, specialmente quando essa affretta il passo verso la propria fine…Per costruire una città ci son volute generazioni, per demolirla basta un’ora; una selva cresce a poco a poco e in un momento diventa cenere”.

8.   Id. “Consolatio ad Marciam” 26, 6 ss.

«Il tempo spianerà intere montagne e farà emergere altrove nuove regioni; inghiottirà mari, devierà fiumi e interrompendo le comunicazioni tra i popoli disgregherà il consorzio del genere umano; altrove farà scomparire città in vaste voragini e le squasserà coi terremoti, emetterà dal profondo esalazioni pestifere, coprirà con le inondazioni ogni centro abitato, sommergerà il mondo uccidendo ogni essere vivente, con le vampe del fuoco brucerà e incendierà tutte le creature. E quando verrà tempo che l’universo si estinguerà per rinnovarsi, le cose che vedi si autodistruggeranno, le stelle cozzeranno con le stelle, tutta la materia prenderà fuoco e le varie luci del firmamento divamperanno in un incendio solo. Anche noi, anime beate e partecipi dell’eterno, quando piacerà a dio di iniziare un nuovo ciclo e sarà tutto una rovina, anche noi, allora, piccola goccia nel marasma cosmico, torneremo a dissolverci negli elementi primordiali»

7. Id. Naturales Quaestiones III, 29 : Alia ab occasu, alia ab oriente concurrent. Unus humanum genus condet dies; quicquid tam longa fortunae indulgentia excoluit, quicquid supra ceteros extulit, nobilia pariter atque adornata magnarumque gentium regna pessumdabit. =

   Le forze della distruzione sopraggiungeranno insieme alcune dall’occidente altre dall’oriente. Un solo giorno basterà a seppellire il genere umano; tutta la nostra civiltà, che il lungo benvolere del destino permise si formasse e svettasse sugli altri popoli, insieme con la fama e lo splendore di grandi genti straniere: tutto sprofonderà nella rovina. 
  

8. Ibid: Ergo quandoque erit terminus rebus humanis, cum partes eius interire debuerint abolerique funditus totae, ut de integro totae rudes innoxiaeque generentur nec supersit in deteriora praeceptor, plus umoris quam semper fuit fiet. = Dunque, allorché un giorno arriverà la fine del mondo, quando le sue parti dovranno perire ed essere completamente cancellate, così essere completamente rigenerate da capo in uno stato di innocenza primitiva per la scomparsa dei loro maestri di corruzione, si formerà più acqua di quanta non ce ne sia mai stata.

9.  Ibid. :  Portata a compimento la rovina del genere umano e annientate similmente le fiere, di cui gli uomini avevano assunto i caratteri, di nuovo la terra assorbirà le acque, la terra costringerà il mare a starsene calmo o ad infuriare ma senza oltrepassare i suoi limiti, e l’oceano, ricacciato indietro dalle nostre sedi, sarà respinto nei suoi confini e si ristabilirà l’antico ordine. Tutti gli animali verranno generati da capo e sulla faccia della terra comparirà un uomo che non conoscerà delitti.

10. Nemesio di Emesa (fine IV sec. d.C.): “Ci sarà nuovamente Socrate e nuovamente Platone e ognuno di coloro che vivono oggi, con gli stessi amici e concittadini; torneranno le stesse credenze, gli stessi temi di oggi saranno dibattuti; ogni città, villaggio e campagna di nuovo torneranno in vita”.

11. 1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. 5Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
                     (Genesi 1)

12.   1E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. 2E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
4E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
5E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». E soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e vere». 6E mi disse:
«Ecco, sono compiute.
Io sono l’Alfa e l’Omèga,
il Principio e la Fine.
A colui che ha sete
io darò gratuitamente da bere
alla fonte dell’acqua della vita. 
                                                                        (Apocalisse 21,6)   


13. «La fine del mondo è giunta spesso, e continua a giungere spesso […] Deve ancora nascere un essere umano che sopravviva a un periodo storico che non contenga almeno una fine del mondo».
                     (Jonathan Safran Foer)

14.  Domani, poi domani, poi domani: così, da un giorno all’altro, a piccoli passi, ogni domani striscia via fino all’ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti, la via che conduce alla polvere della morte. Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è che un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla.
                                                                                                  (Shakespeare, Macbeth).

15. Giosuè Carducci

PIANTO ANTICO (1871)
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.

Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell'inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.


16. Giacomo Leopardi, Operette morali, “Cantico del Gallo Silvestre” (explicit) :

   Il fior degli anni, se bene è il meglio della vita, è cosa pur misera. Non per tanto, anche questo povero bene manca in sì piccolo tempo, che quando il vivente a più segni si avvede della declinazione del proprio essere, appena ne ha sperimentato la perfezione, né potuto sentire e conoscere pienamente le sue proprie forze, che già scemano. In qualunque genere di creature mortali, la massima parte del vivere è un appassire. Tanto in ogni opera sua la natura è intenta e indirizzata alla morte: poiché non per altra cagione la vecchiezza prevale sì manifestamente, e di sì gran lunga, nella vita e nel mondo. Ogni parte dell'universo si affretta infaticabilmente alla morte, con sollecitudine e celerità mirabile. Solo l'universo medesimo apparisce immune dallo scadere e languire: perocché se nell'autunno e nel verno si dimostra quasi infermo e vecchio, nondimeno sempre alla stagione nuova ringiovanisce. Ma siccome i mortali, se bene in sul primo tempo di ciascun giorno racquistano alcuna parte di giovanezza, pure invecchiano tutto dì, e finalmente si estinguono; così l'universo, benché nel principio degli anni ringiovanisca, nondimeno continuamente invecchia. Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi.